sabato 20 luglio 2013

Sulla fase e i compiti politici del Mpl

20 luglio. Il 14 luglio scorso si è svolta a Roma la riunione del Coordinamento nazionale del Mpl. Essa ha approvato (con un astenuto) il documento presentato dalla Segreteria nazionale.

Sulla fase e i compiti politici del Mpl
 
Non nascondiamo a noi stessi le difficoltà che abbiamo incontrato sulla nostra strada. Esse sono di varia natura, ma due spiccano su tutte.
La prima è che essendo figli della sinistra marxista, portiamo sulle spalle il gravoso fardello della sconfitta storica —senza precedenti perché duplice: pratica e teorica— del movimento comunista internazionale. La seconda è la debolezza di forze e di radicamento sociale del gruppo originario che ha dato vita nel 2011 al Mpl.
Avevamo dalla nostra parte solo un vero punto di forza: la correttezza dell’analisi della situazione.

I quattro pilastri della nostra analisi

(1)  Di contro a chi riteneva che la recessione globale iniziata con lo scoppio della bolla dei sub-prime avvenuto nel 2008 negli USA fosse una fisiologica battuta d’arresto del ciclo economico, noi parlavamo di crisi storico-sistemica del sistema capitalistico, anzitutto delle sue roccaforti occidentali. Per l’esattezza, il nucleo che ha dato vita al Mpl ha parlato di “crisi epocale”.
(2)  Da questa caratterizzazione della crisi, seguendo l’analisi e il metodo di Marx, noi affermavamo che, se non l’umanità, di sicuro l’Occidente, era appena entrato in un’epoca di sconvolgimenti e di rivoluzioni sociali.
(3)  L’Unione europea, a causa della sua fragile, liberistica e contraddittoria architettura politica, economica e finanziaria (di cui la moneta unica è paradigma) sarebbe diventata l’epicentro della crisi globale.
(4)  In seno all’Unione l’Italia era uno degli anelli deboli che si sarebbe spezzato tra i primi.

Sapevamo che una visione e un’analisi corrette non sarebbero state sufficienti a determinare una rapida accumulazione di militanti e di quadri. Se ci decidemmo a strutturarci in fretta come movimento indipendente è per due ragioni principali. La prima è che non c’erano altre correnti o nuclei che condividessero la nostra analisi e il nostro pensiero; la seconda è che prevedevamo una forte accelerazione della crisi italiana (crisi economica, sociale e politica-istituzionale). Come infatti è avvenuto, malgrado con l’operazione Omt della Bce dell’estate 2012, le tecno-oligarchie europee, per nome e per conto della finanza predatoria globale, abbiano, per il rotto della cuffia temporaneamente salvato l’euro .

In quelle circostanze, nelle melmose e stantie acque della sinistra da cui veniamo, era doveroso salpare, prendere il largo, alzando la nuova bandiera del sovranismo-socialista. Cosè il sovranismo-socialista? E’ l’idea che nelle condizioni storiche determinate la fuoriuscita dal capitalismo implica: (1) il passaggio per una rivoluzione democratica popolare la quale dovrà per prima cosa spazzare via la dittatura dell’aristocrazia finanziaria globale e i suoi satrapi politici compradores locali; (2) la formazione di un blocco sociale ampio, che unifichi tutte le classi sociali colpite a morte dalla crisi del sistema; (3) le forze socialiste potranno porsi alla testa di questo blocco solo se sapranno coniugare l’emancipazione sociale con quella nazionale.

Quindi lanciammo l’appello per raggruppare chi condivideva le nostre idee. Abbiamo raccolto, anche per gli scarsi mezzi per far udire l’appello, molto meno di quel che ci aspettavamo, ciò che spiega in larga parte il rinculo e il disincanto. Chi non ha visto risultati immediati o è stato risucchiato dalla melma, oppure ha concluso che le stesse analisi fossero errate.

Crisi epocale, non solo crisi ciclica e nemmeno strutturale

Parlare di “epoca” ha delle precise implicazioni, anzitutto analitiche e poi politiche. Una crisi epocale è crisi di declino, quindi dai tempi lunghi. La fondazione del MPl rispondeva anzitutto a questa necessità, gettare le prime fondamenta di un progetto strategico.

Fermo restando che la tendenza principale è segnata dal declino, essa può conoscere diverse e alterne fasi, brevi riprese della congiuntura economica a cui seguono nuovi collassi. Gli sconvolgimenti sociali e politici, d’altra parte, non seguono mai una linea retta ascendente. Fiammate di mobilitazioni possono essere seguite da fasi di riflusso del conflitto sociale e di classe.

Noi sottolineammo anche che la lotta sociale non segue in modo automatico i cicli di crisi. Mostravamo anzi come, all’offensiva delle classi dominanti tesa a scaricare sulle classi lavoratrici i costi dei collassi economici, corrispondesse quasi sempre una ritirata dei movimenti di classe e sociali. Poiché un’offensiva delle classi subalterne dipende da diversi fattori, tra cui quello della propria potenza politica, che consiste essenzialmente in tre cose:  (1) un tessuto ramificato di organismi di lotta e contropotere; (2) una coscienza politica diffusa; (3) e una direzione politica adeguata allo scontro.

Se, malgrado il disastro sociale (peggioramento della condizioni di vita generali a aumento di diseguaglianze e ingiustizie), il conflitto sociale nel nostro paese in questi ultimi anni è stato debole, ciò dipende dalla sostanziale assenza di tutti e tre questi fattori. La crisi è sopraggiunta colpendo una generazione priva non solo di memoria storica e di coscienza sociale, ma di avanguardie che non fossero marginali e di organismi di lotta con influenza di massa consistente.

C’è tuttavia, nell’atteggiamento passivo e remissivo delle larghe masse, un elemento che definiremo di “saggezza”. C’è la percezione che questa crisi sia appunto sistemica e epocale. In queste  circostanze larghe masse non si gettano nella mischia tanto per battersi, ma solo se ritengono esista un’alternativa sistemica credibile. Ecco il danno più profondo causato dal crollo dell’Urss, impatto accentuato dalla via cinese di approdo al capitalismo.

Un automatismo non c’è dunque nemmeno tra le fiammate di conflitto e la crescita dell’organizzazione popolare di liberazione. Tali fiammate, figlie di un tessuto sociale frantumato,  possono ben nutrire altre tendenze, come ci insegna la Grecia, quelle ribellistiche di matrice anarchica. Di sicuro dentro queste fiammate, che per loro natura sono animate dalla gioventù, una forza popolare di liberazione deve tentare di esserci, e se è impossibilitata ad esserci, a dialogarci.

La fase che ci lasciamo alle spalle

Il malessere e la rabbia sociali hanno preso in Italia, due vie: la disperazione e l’indignazione, spesso passiva. Tra le due c’è una relazione osmotica. La disperazione ha accresciuto il senso d’inazione e d’impotenza, così che l’indignazione crescente si è manifestata principalmente sul piano della delega. I mille rivoli dell’indignazione e della rabbia sociali sono confluiti come affluenti, via elezioni, nel fiume in piena del M5S, oppure nel mare dell’astensione.

Abbiamo capito in ritardo questo fenomeno, che M5S sarebbe diventato, malgrado tutti i suoi limiti, anzi forse proprio grazie ad essi, il collettore della protesta. Non ci siamo accorti per tempo che il “fronte ampio” stava prendendo la forma concreta di un sostegno passivo ma di massa al movimento di Beppe Grillo. Se lo avessimo capito prima, almeno a ridosso delle elezioni siciliane dell’ottobre 2012, avremmo potuto affiancare il M5S e ciò ci avrebbe senza dubbio fatto fare più strada. Non solo invece affiancammo, nelle elezioni in Sicilia, per forza d’inerzia, il Movimento dei Forconi, che venne travolto dalla valanga “grillina”.

Abbiamo capito in ritardo che sarebbe arrivata l’onda di M5S, ma l’abbiamo capito, intuendo che in vista delle elezioni di febbraio la scelta tattica giusta era quella di schierarci al suo fianco. Scelta saggia, mentre la gran parte dei nostri compagni di strada o non capì l’ondata che stava arrivando o gli si contrappose rispolverando un infantile estremismo parolaio.

Non ci sbagliammo allora nel ritenere le forze sopravviventi della “sinistra radicale” (dal Prc, a Sel passando per ALBA) del tutto incapaci di giocare una funzione progressiva. Tutte e tre queste componenti finiranno, pur con esiti diversi, nel tritacarne elettorale, dileguandosi in ammucchiate elettorali percepite dalla larghe masse come ammennicoli sistemici.

Riponemmo grandi quindi grandi speranze nel Comitato No Debito, immaginando che da li sarebbe sorto in fretta un blocco politico e sociale di forze antagoniste che si candidasse a raccogliere presto la crescente indignazione popolare. Ipotesi che si rivelerà aleatoria. Pur con tutti i meriti che vanno riconosciuti al Comitato, esso era paralizzato sul piano politico dalla presenza di tendenze che andavano nelle più diverse direzioni. Il rifiuto opposto all’uscita dall’euro e alla rivendicazione della sovranità nazionale e monetaria erano limiti gravissimi perché simboleggiavano sia un’incomprensione del carattere specifico della crisi europea e italiana, sia il rifiuto di prendere atto che il vecchio movimento operaio era da tempo morto e che la classe operaia fordista non era più l’asse attorno al quale costruire un ampio fronte sociale. Il Comitato No debito, incapace di uscire dal recinto dell’estrema sinistra, sarà a sua volta travolto dalla imponente valanga “grillina” del febbraio 2013.

ROSS@ —sorta dal seno, ovvero da una fratturazione del Comitato No Debito—è quanto di meglio passi il convento della sinistra italiana, ma nasce segnata con le stimmate dell’identitarismo ideologico nella mano sinistra e del massimalismo (nelle sue varianti elettoralistica e sindacalistica) in quella destra. Due ingredienti molto instabili e che possono coabitare solo quando le cose vanno a gonfie vele. È stato detto che quella di ROSS@ è un’impresa “disperata”. Occorre intendersi. Se l’impresa è quella di raccogliere l’eredità di Rifondazione comunista, raggruppando ciò che resta di quel piccolo mondo antico, essa potrebbe in effetti avere un modesto successo. Il suo destino è allora appeso alle sorti del Prc, e dunque all’esito del suo prossimo congresso. Non possiamo che augurare il successo di questo tentativo, visto che sarebbe nefasta la dispersione di migliaia di militanti che sono deposito di memoria e di esperienza politica e sindacale. Combatteremo eventualmente spalla a spalla con ROSS@ ogni volta che sarà necessario, ma non possiamo tuttavia seguirli su questa strada.

M5S al bivio

La nostra scommessa è di essere il lievito e la leva per dare vita ad un nuovo movimento socialista e anticapitalista.

Idee giuste sono necessarie per fungere da lievito, ma non sufficienti. Idee giuste possono farsi largo solo se portate avanti da militanti e quadri preparati, motivati, ben organizzati. Occorre infine una terza condizione, che essi non disperdano i loro semi in mezzo ai rovi o sulla sabbia, ma in un terreno fertile. Ci fu un tempo in cui la sinistra era questo terreno fertile. E’ oramai ora di prendere atto che, tranne rare eccezioni, non è più così. Questo terreno fertile sono le masse popolari. Si tratta di campi abbandonati da tempo, non arati, pieni delle erbacce cresciute in decenni, da bonificare. Ma li c’è l’humus. E’ su questa distesa che occorre seminare, dissodare, arare. Non ci sono altre vie o scorciatoie.

In questa distesa è cresciuto rapidamente il M5S, raccogliendo una protesta traversale e di massa, strappando decine di migliaia di cittadini dall’indifferenza, iniziando a politicizzarli, entusiasmandoli, facendone degli attivisti. Non ci sfugge che questo è stato possibile, tra le altre ragioni, per il carattere deliberatamente interclassista del messaggio di Beppe Grillo, e alle sue modalità comunicative “populistiche”. Sostenere per questo che M5S è un movimento politico reazionario se non addirittura fascista significa tuttavia prendere una cantonata. In un diverso contesto storico e sociale M5S occupa lo spazio che una volta occupavano i movimenti della democrazia borghese radicale. Che esso possa secernere tendenze fascistoidi non è escluso, com’è vero che partorirà tendenze opposte. Vale del resto ricordare che il fascismo nacque come costola del Partito socialista. Dentro una crisi sistemica che conoscerà successive accelerazioni, che chiederà decisioni coraggiose, diamo per certo che M5S non resisterà unito e verrà scompaginato liberando forze in diverse direzioni.

Il destino di M5S non si deciderà sui tempi lunghi. I prossimi mesi, che metteranno a dura prova la tenuta del governicchio Napolitano-Letta saranno un banco di prova decisivo per M5S. Questo governicchio non è solo appeso alle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi. Per rispettare i vincoli europei dovrà promulgare una Finanziaria (Legge di stabilità) lacrime e sangue le cui dimensioni saranno superiori al 2% del Pil. Che questo governicchio sopravviva è difficile. Senza dimenticare che una tempesta finanziaria potrebbe riabbattersi in modo letale sul nostro paese.

Vedremo se M5S si attesterà, come ci auguriamo (e come il documento consegnato il 10 luglio a Napolitano sembra confermare) sulla linea del rifiuto di ogni ipotesi consociativa o se si lascerà irretire nei giochi e nelle congiure del Palazzo. A maggior ragione occorre stare adesso accanto al Movimento 5 Stelle che, sotto la pressione della classe dominante, potrebbe subire fratturazioni ben più serie e devastanti di quelle che ha conosciuto nelle settimane scorse. Si avvicina il tempo in cui non basta dire no in Parlamento e sui blog ai massacri sociali, il tempo in cui verificheremo se M5S sarà in grado, non solo di parlare all’indignazione, ma di chiamare alla lotta sociale.

Il documento del 10 luglio e le cose dette nella conferenza stampa seguita all’incontro con Napolitano ci confermano che, fino a prova contraria, occorre stare accanto al M5S. Per la semplice ragione che questo movimento si conferma, oggi come ieri, la sola voce dell'indignazione di massa, il solo veicolo per farla vivere invece che essere risucchiata nella disperazione. In questo senso ci pare importante che, di contro a questo Parlamento di servi e di comandati, Grillo abbia detto che M5S non esclude di uscirne. Un'idea politica che può adesso sembrare astrusa e che presto potrebbe invece diventare deflagrante, sulla scia di quanto il Terzo stato francese fece nel 1789 autoconvocandosi nella Sala della Pallacorda, istituendo così il contropotere del popolo oppresso.

Non sottovalutiamo affatto che sulla questione dell’euro e della sovranità il documento del 10 luglio declina verso una posizione mediatoria. Si afferma che siccome un default dell’Italia trascinerebbe nel baratro tutta l’Unione e la stessa moneta unica, noi potremmo strappare una mutualizzazione del debito e la sua ristrutturazione e quindi la rinegoziazione delle condizioni per restare nell’euro. Se ciò non sarà possibile, questa è la logica conclusione, la rottura dell’Unione monetaria sarebbe a quel punto inevitabile. Potrebbe essere un’intelligente declinazione tattica dell’uscita, tenuto conto del terrore che questa suscita ancora in ampi strati della popolazione.

Se M5S non sarà in grado, sin da i prossimi mesi di mettersi alla testa della incipiente sollevazione popolare, quindi candidandosi ad essere l’asse di un governo popolare d’emergenza,la sua crisi si acutizzerà e per noi diventerà decisivo intercettare le “tendenze buone”. Ciò si otterrà con un approccio che dovrà dosare con saggezza la critica e l’unità. La critica politica delle idee e delle decisioni sbagliate, la massima unità nella lotta contro il nemico comune: la classe predatoria dominante coi suoi partiti e i suoi apparati difensivi.

Abbiamo verificato in questi ultimi mesi che moti attivisti, nonostante un certo primitivismo politico, ascoltano le critiche e sono molto più ricettivi ad un messaggio sovranista-socialista che tanti vecchi compagni di strada. Con l’ausilio degli eventi questi potranno radicalizzarsi. Nostro compito è aiutarli a maturare politicamente, per questo occorre una relazione di vicinanza e di solidarietà.

Allo stesso tempo occorre proporre azioni congiunte, mobilitazioni, proteste pubbliche, poiché qui è il Tallone d’Achille di M5S. Non possiamo limitarci a predicare il messaggio, dobbiamo proporre iniziative di lotta unitarie, sfidare M5S ad uscire dal guscio di un certo perbenismo democraticistico. Il precipitare della crisi sociale ci offrirà numerose occasioni per mettere a nudo la vera e propria paura del conflitto diretto che predomina tra i dirigenti di M5S, come palesemente dimostrato dalla ritirata del 20 aprile scorso.

I nostri compiti adesso

Dobbiamo muoverci quindi in due direzioni.
L’attività concreta di partecipare al conflitto e dove possibile di impulso al conflitto, non è disgiunta da quella di accumulare nuove forze e di educazione di quadri. Questo secondo aspetto implica continuare a percorrere, in forme più adeguate se possibile, il sentiero che fin qui ha caratterizzato il Mpl, come un laboratorio di analisi rigorose e proposte strategiche. Migliaia e migliaia di cittadini ci seguono e ci apprezzano attraverso sollevAzione. Molti sono senza partito, altri militano o simpatizzano per altre formazioni o associazioni politiche. C’è anzitutto una composita ed eterogenea area politica “sovranista” che va crescendo. Non ci illudiamo che sia possibile farla confluire in un unico soggetto politico. Ma da essa potrebbero venire al Mpl decine di militanti e di quadri politici. Anche qui: unità e critica. Dobbiamo proporre momenti unitari di lotta e di confronto delle idee. A questo scopo dobbiamo insistere con la modalità di incontri pubblici che siano luoghi di confronto e di produzione non solo d’idee ma di proposte e posizioni politiche. Incontri sulla falsa riga di quello di Chianciano Terme dell’ottobre 2011, che tanto impatto ebbe.

Sul fronte sociale non possiamo restare alla finestra. La nostra debolezza non può essere un’alibi. Occorre, dove abbiamo sezioni, tentare di passare dai discorsi ai fatti, promuovere azioni di lotta e proteste che abbiano carattere inclusivo e popolare e che siano contagiose, replicabili, riproducibili. Azioni di lotta e di protesta che puntino a dare vita a veri e propri movimenti di massa. Per questo occorre creatività, evitando di ripetere modalità che hanno mostrato la loro obsolescenza. Modalità non adeguate, alla luce della crisi sistemica, si sono rivelate non solo le tradizionali forme sindacali, ma pure i cosiddetti “movimenti di scopo”, focalizzati su un singolo obbiettivo, per non parlare dei “movimenti nimby” (Not in my back-yard), di filiazione nordamericana. Una lezione istruttiva ci viene dal movimento degli Indignatos spagnoli il quale, sull’onda delle “primavere” in Tunisia e in Egitto, ha mobilitato milioni di giovani su piattaforme che fondevano assieme le richieste di democrazia, di giustizia sociale, di libertà, di lavoro e reddito, con il rifiuto consapevole del liberismo, del sistema finanziario-predatorio, e con la denuncia della corruzione e del malaffare nella sfera pubblica.

Nel nostro paese siamo alle porte di movimenti di massa che, su un terreno forse più avanzato e radicale, calcheranno quelle orme. Movimenti dunque inclusivi ma proprio per il loro carattere politico generale. E’ probabile che le metropoli saranno le prime ad esserne attraversate, ma l’onda si propagherà, anche nei centri minori, anch’essi spappolati dalla crisi sistemica. La gioventù precaria e proletaria ne costituirà la forza motrice. Di qui la necessità per noi di trovare modalità e linguaggi adeguati.

Questi nuovi movimenti, una volta entrati in scena, fungeranno da centri catalizzatori e siccome trascineranno strati sociali fino ad allora dormienti, impatteranno sul panorama politico, scompaginandolo. In barba a tutti i discorsi sulla fine dei partiti “ideologici”, questi risorgeranno e tenderanno a polarizzarsi attorno a visioni della società.

Ci sarà più bisogno che mai di una forza che metta ordine nel caos, di un partito socialista e rivoluzionario che difenda gli interessi e le aspirazioni degli oppressi. Se c’è una ragione d’esistere per il Mpl è proprio quella di esserne un costruttore.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

condivido...per esempio ero in piazza con loro http://www.frosinoneweb.net/2013/07/15/operai-salgono-sul-tetto-del-comune-foto-e-video-siamo-disperati/ la maggior parte dei lavoratori licenziati aveva votato il sindaco ''esternalizzatore duro e puro'' che si difende dicendo che la stabilizzazione avrebbero dovuta farla quelli prima di lui.allora faccio:''bene,quelli li ho votati io che sono di sx,dichiara il dissesto!''e lui''ma che c'entra sx o dx?!''.se sono inclusivi loro possiamo,dobbiamo,esserlo anche noi.francesco
ps.ho rinfoderato la chitarra con gli spartiti di guccini,urge repertorio popolare

michele ha detto...

sovranismo-socialista è, dizionario alla mano, sinonimo di nazional-socialismo.
non condivido inoltre l'analisi per cui, prima del socialismo si debba passare per una rivoluzione democratica.
mi sembra un passo indietro, paradossalmente una adesione al marxismo più dogmatico delle socialdemocrazie di inizio Novecento. la rivoluzione va fatta qui ed ora, senza aspettare "sviluppi". non c'è, secondo me, una borghesia buona che oggi può combattere l'aristocrazia finanziaria insieme al proletariato.
quello che il vostro documento dimentica di scrivere è proprio che TUTTA la borghesia, anche quella piccolissima, ha aderito negli anni 80, 90 e 2000 alla finanziarizzazione di massa: carte di credito, auto aziendali, prestiti, mutui, depositare i profitti del barette nei bond argentini, ecc.
questa borghesia non va salvata da se stessa, va lasciata affogare, anzi bisogna mettergli una mano dietro la testa.
per non parlare del discorso morale: le condizioni di vita dei moderni schiavi precari (con contratti mensili, diritti negati e ore gratuite da donare al padroncini) che saranno, questo lo scrivete giustamente, il motore della sollevazione popolare. e non penso che saranno contenti di lottare fianco a fianco col padrone che ti toccava il culo dietro il bancone, per semplificare.

Anonimo ha detto...

otiima analisi quella sul M5s...sono un attivista del M5s e da tempo sostengo la svolta della piazza,purtroppo nel M5s ci sono tanti bravi e ingenui ragazzi che non sanno nemmeno come si scende in Piazza, semplicemente perchè non lo hanno mai fatto, perchè cresciuti nella noiosissima italia degli anni '90 e 2000, fatta di vacanze, benessere e discoteche... Attiviamoci, convinciamo la gente con un linguaggio nuovo, i lavoratori disperati di oggi sono diversi rispetto al passato..Oggi gli statali stanno, relativamente bene, hanno ancora uno stipendio sicuro almeno per ora... I nuovi poveri sono operai cassintegrati, artigiani, autonomi, professionisti che fatturano meno di un operaio metalmeccanico, piccoli imprenditori, quasi tutte partite iva, spesso di necessità... sono questi quelli più sensibili al discorso dela moneta unica e dell'Europa..perchè hanno il contatto con la vita reale, vedono il fatturato andare in frantumi giorno dopo giorno,gli statali che conosco votano tutti PD e credono che l'Europa ci salverà...
A questi soggetti bisogna rivolgersi, perchè essi non hanno un sindacato alle spalle, una struttura che li organizza (o strumentalizza) per scendere in piazza o per sciperare come gli statali...quindi hanno bisogno di organizzazione....
in questi settori la gente è disperate, arrabbiata..e lì che ci sono terreni da arare....

Giovanni ha detto...

Anonimo attivista delle 19.44, quando si parla di statali è bene precisare che molti sono precari (tu non li citi) e con possibilità di stabilizzazione praticamente nulle. Al più possono salire sui tetti ma lo fanno per singoli gruppi, cos'altro potrebbero fare del resto. Questa mancanza di coordinamento rende tutti più deboli privandoci di quella solidarietà, sia pur pelosa perché (inevitabilmente) mirata alla difesa del proprio benessere personale, che deriva dalla difesa di un contratto unico.

Per il resto sono d'accordo con te, chi oggi ha un contratto più tutelato magari non è ricco ma sente crisi meno degli altri o addirittura non la sente affatto. Si illude di essere al sicuro e dorme tranquillo, ignora gli altri quando non addirittura li snobba, è l'umano desiderio di distinguersi.
Questa situazione è stata sintetizzata bene dal quel grafico con la diagonale di Pasquinelli.

Anche Grillo ha più volte espresso questo punto, facendo però una divisione (infame) fra italiani di serie A e serie B mirata allo smantellamento delle tutele residuali esistenti, smantellmento che ai non tutelati non porterà nulla se non la mancetta di cittadinanza, forse manco quello.

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con Giovanni, ma anche con Michele. E' bene ricordare che nonostante la crisi ci sia gente che ci magna sopra comunque. Mio padre ad esempio fa il libero professionista e ha problemi enormi a tirare avanti causa la mancanza di introiti da parte dei clienti. Peccato che molti di questi non paghino apposta con la scusa della crisi. E questi qui non sono di certo precari del pubblico o precari del privato, ma come direbbe Michele "borghesi" amici della finanziarizzazione.

Poi io nel MPL noto a volte alcune contraddizioni in termini. Dicono sempre che in Italia c'è una situazione più simile alla rivoluzione francese che russa. Però poi dicono che proponendo delel tesi stile "tesi di Aprile" di Lenin si può arrivare al socialismo. Ma scusate, ma che senso ha? Dopo la rivoluzione francese ci fu Robespierre, no Lenin. Eppure fate sempre l'esempio dei bolscevichi che davano le terre ai contadini. Da ciò allora uno deduce che: in Russia c'era anche li una situazione simile alla rivoluzione francese, no Russa.

Comunque io penso che in entrambi i casi si stia sbagliando. In Italia non c'è una situazione nè simile alla rivoluzione francese, nè simile ala rivoluzione russa. C'è una situazione più simile alla rivoluzione italiana.
E a me questo fa paura. Ecco perchè ho scelto la strada dell'idnipendnetismo.

BY
IL VILE BRIGANTE

PS:
SONO SEMPRE E RESTO CONTRO L'EURO

Lo scrivo in grassetto così quelli che sono dentro lo schemino anti euro-pro euro se ne fanno una ragione

Anonimo ha detto...

E aggiungo poi: mia madre, fa di mestiere la maestra elementare, ed è l'unica al momento che grazie al suo stipendio "garantito" porta il pane in casa, in un momento in cui mio padre da privato non riesce a guadagnare, causa crisi e causa quelli che ci mangiano sopra. Quindi mia madre sarebbe tra gli italiani di serie A? Tra i cosiddetti parassiti? Quelli che andrebbero licenziati perchè mangiano alle spalle degli altri?

Tipica idea montian-italiota-borghese intendo io. E io non voglio che in merito a questa mitica "Sollevazione" mia madre venga bollata tra i privilegiati parassiti che hanno portato in rovina il paese.
Ecco perchè l'unica lotta possibile che intraprenderò sarà l'inipendentismo, per impedire che la foga italiota si ribastta contro chi non c'entra un fico secco e gattopardinamente agisca col: "tutto cambi perchè nulla cambi"
L'Italia è fallita, esattamente come l'Urss al pari dell'Europa che è fallita esattamente come il Terzo Reich.

BY
IL VILE BRIGANTE

Unknown ha detto...

Bravo Il Vile. Basta con questa stronzata dei dipendenti pubblici garantiti! Quando si cresceva a fare la bella vita erano i fan di Berlusconi liberi imprenditori. Ribadisco, un'alleanza tattica va fatta, ma con l'occhio sempre ben puntato verso questi difensori del "piccolo è bello" anti-statalisti a prescindere.

Anonimo ha detto...

Diamo un'occhiata al Mondo: la Cina è sovranista? Direi.di sì. La Russia è sovranista? idem. L'Ungheria è sovranista? Perché no? Israele è sovranista: certamente. Cuba è sovranista? praticamente sì. L'Arabia è sovranista? altro che. L'America è sovranista: senza acun dubbio.
L'Italia è sovranista? Non direi proprio.
Fra tutti i paesi nominati che sta peggio?
Ci sono dubbi??

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